Come in passato aveva già saggiamente predetto, gli smartwatch non hanno avuto successo.
Ecco cosa ci dice Wired sull'argomento:
"È andata così per I'm Watch, mentre Pebble se l'è cavata solo un po' meglio, anche se non ha comunque conquistato il cuore del grande pubblico. Il discorso è simile per la prima versione dello Smartwatch di Sony, che sta per riprovarci con un secondo tentativo. L'ultimo flop in ordine cronologico è quello del Galaxy Gear di Samsung, che nei negozi non se la sta passando troppo bene.
La ragione di questa infornata di fail è semplice: l'idea di un orologio intelligente è talmente appetitosa che chi decide di realizzarla ne sottovaluta estetica e praticità d'uso. Si tratta invece di due fattori chiave, che sono stati troppo spesso accantonati da produttori convinti che per vendere un prodotto simile bastasse schiaffare un processore e un display touch su un cinturino.
Gli smartwatch quindi sarebbero ancora troppo brutti e complicati per avere successo. Non è una novità: oltre a noi lo pensano in molti, compreso Mashable che si è lanciato recentemente in una ricerca del perché. E proprio sul sito tech statunitense Bill Geiser, un rappresentante dei produttori, fa mea culpa in questo senso: “Il mercato smartwatch della prima ora ha preso forma da una comunità di sviluppatori e hacker, che erano più interessati a inserire funzioni piuttosto che a questioni di forma ed estetica”.
Anche perché, ancora oggi, la miniaturizzazione delle componenti non è sufficiente a garantire libertà di azione ai designer. Diventa difficile creare oggetti veramente gradevoli alla vista quando la maggior parte dello spazio non lo puoi limare via. Le batterie in particolare sono molto ingombranti, e al tempo stesso non bastano neppure a far durare gli smartwatch un paio di giorni (Pebble escluso), mentre i display hanno luminosità, contrasti e angoli di visione ancora inadatti a una consultazione agile dal polso.
“Al momento, si tratta più di computer che di qualcosa di bello da indossare”, continua Geiser, e l'ostacolo è proprio lo stato attuale della tecnologia. L'anno della svolta secondo lui sarà il 2014. Su Mashable, anche l'analista Joshua Flood di ABI Research di dice d'accordo, notando che per l'anno prossimo le componenti necessarie alla realizzazione degli smartwatch si saranno rimpicciolite abbastanza e la loro efficienza energetica sarà salita a un livello accettabile. Se si tratti di previsioni plausibili o di una storia già sentita, però, sarà il tempo a dirlo.
Inoltre, se vogliamo dirla tutta, qualè l'utilità di avere un orologio che riceve le notifiche al posto del telefono?
Ecco cosa ci dice Wired sull'argomento:
"È andata così per I'm Watch, mentre Pebble se l'è cavata solo un po' meglio, anche se non ha comunque conquistato il cuore del grande pubblico. Il discorso è simile per la prima versione dello Smartwatch di Sony, che sta per riprovarci con un secondo tentativo. L'ultimo flop in ordine cronologico è quello del Galaxy Gear di Samsung, che nei negozi non se la sta passando troppo bene.
La ragione di questa infornata di fail è semplice: l'idea di un orologio intelligente è talmente appetitosa che chi decide di realizzarla ne sottovaluta estetica e praticità d'uso. Si tratta invece di due fattori chiave, che sono stati troppo spesso accantonati da produttori convinti che per vendere un prodotto simile bastasse schiaffare un processore e un display touch su un cinturino.
Gli smartwatch quindi sarebbero ancora troppo brutti e complicati per avere successo. Non è una novità: oltre a noi lo pensano in molti, compreso Mashable che si è lanciato recentemente in una ricerca del perché. E proprio sul sito tech statunitense Bill Geiser, un rappresentante dei produttori, fa mea culpa in questo senso: “Il mercato smartwatch della prima ora ha preso forma da una comunità di sviluppatori e hacker, che erano più interessati a inserire funzioni piuttosto che a questioni di forma ed estetica”.
Anche perché, ancora oggi, la miniaturizzazione delle componenti non è sufficiente a garantire libertà di azione ai designer. Diventa difficile creare oggetti veramente gradevoli alla vista quando la maggior parte dello spazio non lo puoi limare via. Le batterie in particolare sono molto ingombranti, e al tempo stesso non bastano neppure a far durare gli smartwatch un paio di giorni (Pebble escluso), mentre i display hanno luminosità, contrasti e angoli di visione ancora inadatti a una consultazione agile dal polso.
“Al momento, si tratta più di computer che di qualcosa di bello da indossare”, continua Geiser, e l'ostacolo è proprio lo stato attuale della tecnologia. L'anno della svolta secondo lui sarà il 2014. Su Mashable, anche l'analista Joshua Flood di ABI Research di dice d'accordo, notando che per l'anno prossimo le componenti necessarie alla realizzazione degli smartwatch si saranno rimpicciolite abbastanza e la loro efficienza energetica sarà salita a un livello accettabile. Se si tratti di previsioni plausibili o di una storia già sentita, però, sarà il tempo a dirlo.
Inoltre, se vogliamo dirla tutta, qualè l'utilità di avere un orologio che riceve le notifiche al posto del telefono?
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